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L'omelia di Pentecoste di padre Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento della Basilica:

"Due sono i racconti relativi all’evento dell’effusione dello Spirito Santo che abbiamo ascoltato, quello di Luca e quello di Giovanni, temporalmente collocati a 50 giorni di distanza: il primo nel giorno di Pasqua, l’altro nel giorno di Pentecoste.
Nella narrazione di Giovanni, Gesù dopo aver offerto il saluto di pace, alita su di essi lo Spirito. La pace del Risorto ci ha raggiunto fin da quel primo giorno dopo il sabato in cui il corpo di Gesù aveva riposato nel sepolcro. L’abbiamo accolta?

Il dono della sua pace scaturisce dalla passione, dall’amore estremo, totocoinvolgente e totocomprendente, di chi vuol Bene al di là del bene e del male, fino a versare la propria stessa vita nell’abisso di perdizione dell’amato. Forse, per cercare di percepire qualcosa della profondità, dell’altezza, dell’ampiezza e della larghezza dell’amore di Cristo, ci giova riandare con la mente agli esempi che tanti santi, spesso anonimi, ci hanno lasciato di amicizia, di amore sponsale, di amore paterno e materno, di altruismo disinteressato: fedeli fino al dono di sé, fino al sacrificio della vita.
Cito ancora una volta l’ebrea Etty Hillesum, che volle condividere la sorte del suo popolo deportato nei campi di sterminio e che annotava nel suo Diario: “…il fatto storico di quella mattina non era che un infelice ragazzo della Gestapo si mettesse a urlare contro di me, ma che francamente io non ne provassi sdegno – anzi, che mi facesse pena, tanto che avrei voluto chiedergli: hai avuto una giovinezza così triste, o sei stato tradito dalla tua ragazza?”. Riflessi di quell’amore primo, sorgente originaria e originante, che si riversa nel cuore dell’uomo riconciliandolo: con se stesso – sono amabile senza condizioni; con Dio – sono voluto e amato da sempre; e con gli altri, che, come me, sono stati resi degni da tanto amore. Ecco. Pace! Pace! Pace!
Quando accogliamo tale parola viva e vivificante detta dal Risorto, in noi germoglia la bontà, si diradano i giudizi, si allentano i rancori, cresce l’apprezzamento per i fratelli e le sorelle, matura un desiderio più intenso di intimità con Dio… avviene, insomma, una vera e propria “ri-creazione”, operata dallo Spirito che trova spazio nei cuori, portando nuovi frutti di amore, gioia, magnanimità, benevolenza, mitezza, ecc.
Animati da tale potenza divina d’amore, siamo inviati ad operare guarigioni, cioè a perdonare i peccati. È questo il compito missionario evangelico decisivo che ci è affidato: il perdono, vera e propria cifra storica della pace di Cristo, che tiene insieme tutto e tutti nell’amore di Dio. Lo Spirito è colui che ci disporrà e ci guiderà alla realizzazione di questo supremo volere di Dio: che tutti siano una cosa sola in Gesù.

Luca, nel suo racconto, sottolinea che proprio l’effusione dello Spirito Santo rende attuabile quell’anelito all’unità che abita il cuore dell’uomo. In filigrana vi è il racconto della torre di Babele di Genesi. Lo ricordiamo brevemente. Gli uomini presunsero di vivere l’unità (non disperdersi sulla terra) grazie ad una forma di sovranismo che chiudeva i loro confini in una cerchia (una città) e grazie ad una grande dominazione politica, militare ed economica che avrebbe dettato le regole e le avrebbe fatte osservare con la forza (una torre); così, avrebbero raggiunto l’autosufficienza fino ad essere immortali (toccare il cielo) e darsi un’identità costruita artificialmente (farsi un nome). Tale presunzione poggiava su un unico pensiero coattivo (una sola lingua), che Dio confuse per scongiurare che l’unità si trasformasse in una perversione capace solo di produrre schiavitù, miseria, scarti umani.
Quanto è attuale! La “globalizzazione”, che la pandemia – e non certo Dio – ha scompigliato, non stava forse portando al disastro umano, sociale e ambientale? La “globalizzazione”, che non è sbagliata in sé, perché sospinge il mondo verso l’unità, verso il compimento del desiderio divino e umano a un tempo, veniva perseguita in modo perverso: perdita di diversità ed omogeneizzazione culturale, competizione estrema, esercizio tecnocratico del potere economico e del potere militare, chiusure politiche, affermazione di un’idea dominante di felicità legata al consumo, costrutti identitari artificiali e virtuali… Abbiamo camminato nella menzogna di un’unità costruita dalla prevaricazione che alcuni si sono arrogati il diritto di esercitare sugli altri.
Il fine della globalizzazione, la vera unità tra i popoli, è il frutto della fatica di una comunione cercata nel rispetto delle differenze. Questa l’opera che il fuoco d’amore e di luce dello Spirito riversato nei cuori può realizzare. Lo Spirito rende possibile la compassione e la comunione con tutti, nelle loro diversità, e sospinge l’umanità verso l’unità della lode a Dio per la stessa cosa, per l’Amore.

Abbiamo bisogno dello Spirito. Senza di Lui non possiamo far nulla di buono. Soprattutto, non saremmo in grado di riconoscere che le situazioni della vita, anche le più drammatiche, sono un luogo di rivelazione in cui sperimentare l’amore di Dio; e nemmeno di avvertire la potenza di vita di Gesù, della sua parola e dei suoi gesti.
Quanto attuale la Pentecoste! Ricavo tre indicazioni dalla Parola di oggi:
1. Percorriamo la via della riconciliazione fino in fondo. Sulle sofferenze, sulle insicurezze e sulla rabbia che questo tempo ci ha consegnato risuoni la parola di Gesù: Pace! Sulle nostre povertà, sulle mancanze di chi vive con noi o di chi ci governa, sui tradimenti e sui fallimenti nostri e altrui, risuoni la parola di Gesù: Pace! Sulla paura dell’assenza di chi vorremmo al nostro fianco, del buio e delle incertezze del domani, risuoni la parola di Gesù: Pace!
2. Ogni giorno cerchiamo lo Spirito dentro di noi, come si cerca la compagnia di un amico, di un soccorritore, di qualcuno che ci può illuminare e guidare. Invochiamo la sua presenza: dolce Spirito ricorda al mio cuore che Gesù è il Signore, riporta alla mia mente i suoi gesti e le sue parole, nutri i miei sentimenti con il suo amore.
3. Rimbocchiamoci le maniche per edificare l’unità. Cominciando col rivolgere a tutti il saluto di Francesco: il Signore ti dia pace. Contiene in sé una dichiarazione di perdono incondizionato. Sciogliamo le catene che tengono avvinti tanti fratelli e sorelle e incamminiamoci con loro verso l’umanesimo fraterno, l’antico e sempre nuovo paradigma della convivenza civica che predispone alla realizzazione dell’unità nella comunione delle differenze".