Com'è nato il Cantico di frate Sole? - Tra le biografie di Francesco d'Assisi, è la Compilazione di Assisi a raccontare con molti particolari (FF 1613-1616) sia il contesto che l'occasione immediata che lo portò a scrivere il suo canto di lode per tutte le creature, che costituisce anche la prima poesia in lingua italiana. La fonte prosegue poi narrando dell'uso che voleva ne facessero i suoi frati, di quando egli stesso lo cantava con loro e perché e come decise di aggiungere un'importante appendice alla sua composizione.

Si tratta di pagine molto significative delle Fonti Francescane, che vale la pena leggere per intero. Per questo ve le proponiamo qui di seguito, all'inizio di questo VIII centenario della composizione del Cantico:


"Due anni prima di morire, quand’era ormai gravemente infermo e soprattutto sofferente d’occhi, ebbe dimora presso San Damiano in una celletta fatta di stuoie. Il ministro generale, vedendolo così sofferente per il male d’occhi, gli comandò di lasciarsi aiutare e curare. Aggiunse anzi che voleva essere presente di persona quando il medico avrebbe cominciato il trattamento, per essere più sicuro della cosa e anche per confortarlo, poiché era pieno di dolori. Ma faceva allora molto freddo, e la stagione non era propizia per avviare la cura.

Il beato Francesco soggiornò a San Damiano per cinquanta giorni e più . Non essendo in grado di sopportare di giorno la luce naturale, né durante la notte il chiarore del fuoco, stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella. Non solo, ma soffriva notte e giorno così atroce dolore agli occhi, che quasi non poteva riposare e dormire, e ciò accresceva e peggiorava queste e le altre sue infermità. Come non bastasse, se talora voleva riposare e dormire, la casa e la celletta dove giaceva [era fatta di stuoie, in un angolo della casa] erano talmente infestate dai topi, che saltellavano e correvano intorno e sopra di lui, che gli riusciva impossibile prender sonno; e tanto più lo disturbavano durante l’orazione. E non solo di notte, ma lo tormentavano anche di giorno; perfino quando mangiava gli salivano sulla tavola. Sia lui che i compagni pensavano che questa fosse una tentazione del diavolo: e lo era di fatto. Una notte, riflettendo il beato Francesco alle tante tribolazioni che aveva, fu mosso a pietà verso se stesso e disse in cuor suo: «Signore, vieni in soccorso alle mie infermità, affinché io sia capace di sopportarle con pazienza!». E subito gli fu detto in spirito: «Fratello, dimmi: se uno, in compenso delle tue malattie e sofferenze, ti donasse un grande prezioso tesoro, come se tutta la terra fosse oro puro e tutte le pietre fossero pietre preziose e l’acqua fosse tutta balsamo: non considereresti tu tutte queste tribolazioni come un niente, come cose materiali, terra, pietre e acqua, a paragone del grande e prezioso tesoro che ti verrebbe dato? Non ne saresti molto felice?». Rispose il beato Francesco: «Signore, questo sarebbe un tesoro veramente grande e inestimabile, prezioso e amabile e desiderabile». E gli disse: «Allora, fratello, rallegrati e giubila pienamente nelle tue infermità e tribolazioni; d’ora in poi vivi nella serenità, come se tu fossi già nel mio regno». Alzandosi al mattino, disse ai suoi compagni: «Se l’imperatore donasse un intero reame a un suo servitore, costui non ne godrebbe vivamente? Ma se gli regalasse addirittura tutto l’impero, non ne godrebbe più ancora?». E disse loro: «Sì, io devo molto godere adesso in mezzo ai miei mali e dolori, e trovare conforto nel Signore, e render grazie sempre a Dio Padre, all’unico suo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, e allo Spirito Santo, per la grazia e la benedizione così grande che mi è stata elargita: egli infatti si è degnato nella sua misericordia di donare a me, suo piccolo servo indegno ancora vivente quaggiù, la certezza di possedere il suo regno». «Voglio quindi, a lode di lui e a mia consolazione e per edificazione del prossimo, comporre una nuova lauda del Signore riguardo alle sue creature. Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non possiamo vivere, e in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo grande beneficio, e non ne diamo lode, come dovremmo, al nostro Creatore e datore di ogni bene». E postosi a sedere, si concentrò a riflettere e poi disse: Altissimo, onnipotente, bon Segnore... E vi fece sopra la melodia, che insegnò ai suoi compagni. Il suo spirito era immerso in così grande dolcezza e consolazione, che voleva mandare a chiamare frate Pacifico – che nel secolo veniva detto «il re dei versi» ed era gentilissimo maestro di canto – e assegnargli alcuni frati buoni e spirituali, affinché andassero per il mondo a predicare e lodare Dio. Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare, rivolgesse al popolo un sermone, finito il quale tutti insieme cantassero le Laudi del Signore, come giullari di Dio. Quando fossero terminate le Laudi, il predicatore doveva dire al popolo: «Noi siamo i giullari del Signore e la ricompensa che desideriamo da voi è questa: che viviate nella vera penitenza». E aggiunse: «Che cosa sono i servi di Dio, se non i suoi giullari che devono commuovere il cuore degli uomini ed elevarlo alla gioia spirituale?». Diceva questo riferendosi specialmente ai frati minori, che sono stati inviati al popolo per salvarlo.

Le Laudi del Signore da lui composte e che cominciano: «Altissimo, onnipotente, bon Segnore», le intitolò : Cantico di frate Sole, che è la più bella delle creature e più si può assomigliare a Dio. Perciò diceva: «Al mattino, quando sorge il sole, ogni uomo dovrebbe lodare Dio che ha creato quell’astro, per mezzo del quale i nostri occhi sono illuminati durante il giorno. E a sera, quando scende la notte, ogni uomo dovrebbe lodare Dio per quell’altra creatura: fratello fuoco, per mezzo del quale i nostri occhi sono illuminati durante la notte». Disse ancora: «Noi siamo tutti come dei ciechi e il Signore ci illumina gli occhi per mezzo di queste due creature. Riguardo a queste e alle altre creature, di cui ogni giorno ci serviamo, dobbiamo sempre lodare in modo speciale lo stesso glorioso Creatore». Egli fu sempre felice di comportarsi così, fosse sano o malato, e volentieri esortava gli altri a lodare insieme il Signore. Nei momenti in cui più era torturato dal male, intonava lui stesso le Laudi del Signore, e poi le faceva cantare dai suoi compagni per riuscire a dimenticare, nella considerazione della lode di Dio, l’acerbità delle sue malattie e delle sue sofferenze. E fece cosı` fino al giorno della sua morte.

In quello stesso periodo, mentre giaceva malato, avendo già composte e fatte cantare le Laudi, accadde che il vescovo di Assisi allora in carica scomunicò il podestà della citta`. Costui, infuriato, a titolo di rappresaglia, fece annunziare in maniera forte e vistosa questo bando: che nessuno vendesse al vescovo o comprasse da lui alcunché o facesse dei contratti con lui. A tal punto erano arrivati a odiarsi reciprocamente. Il beato Francesco, malato com’era, fu preso da pietà per loro, soprattutto perché nessun religioso o secolare si interessava di ristabilire tra i due la pace e la concordia. E disse ai suoi compagni: «Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il vescovo e il podestà si odino talmente l’un l’altro, e nessuno si prenda pena di rimetterli in pace e concordia». Compose allora questa strofa, da aggiungere alle Laudi: Laudato si, mi Segnore, per quilli ke perdonano per lo tuo amore e sustengu enfirmitate et tribulacione. Beati quilgli kel sosteranno in pace ka da te, Altissimo, sirano coronati. Poi chiamò uno dei suoi compagni e gli disse: «Va’, e di’ al podestà, da parte mia, che venga al vescovado lui insieme con i magnati della città e altri che potrà condurre con sé». Mentre quello andava, egli disse agli altri due compagni: «Andate e cantate il Cantico di frate Sole alla presenza del vescovo e del podestà e degli altri che sono con loro. Ho fiducia nel Signore che renderà umili i loro cuori, ed essi faranno pace e torneranno all’amicizia e all’affetto di prima». Quando tutti furono riuniti nello spiazzo interno del chiostro dell’episcopio, quei due frati si alzarono e uno disse: «Il beato Francesco ha composto durante la sua infermità le Laudi del Signore per le sue creature, a lode di Dio e a edificazione del prossimo. Vi prego che stiate a udirle con devozione». Cosı` cominciarono a cantarle. Il podestà si levò subito in piedi e, a mani giunte come si fa durante la lettura del Vangelo, pieno di viva devozione, e anzi in lacrime, stette ad ascoltare attentamente. Egli aveva infatti molta fede e venerazione per il beato Francesco. Finite le Laudi del Signore il podestà disse davanti a tutti: «Vi dico, in verità, che non solo al signor vescovo, che devo considerare mio signore, sarei disposto a perdonare, ma anche a chi mi avesse assassinato il fratello o il figlio». Indi si gettò ai piedi del vescovo dicendogli: «Per amore del Signore nostro Gesù Cristo e del beato Francesco, suo servo, eccomi pronto a soddisfarvi in tutto, come a voi piacerà». Il vescovo lo prese fra le braccia, si alzò e gli rispose: «Per la carica che ricopro dovrei essere umile. Purtroppo ho un temperamento portato all’ira. Ti prego di perdonarmi». E così i due si abbracciarono e baciarono con molta cordialità e affetto. I frati ne restarono molto colpiti, constatando la santità del beato Francesco, poiché si era realizzato alla lettera quanto egli aveva predetto della pace e concordia di quelli. Tutti coloro che erano stati presenti alla scena e avevano sentito quelle parole, ritennero la cosa un grande miracolo, attribuendo ai meriti del beato Francesco il fatto che il Signore avesse cosı` subitamente toccato il cuore dei due avversari. I quali, senza più ricordare gli insulti reciproci, tornarono a sincera concordia dopo uno scandalo cosı` grave. E noi, che siamo stati con il beato Francesco, rendiamo testimonianza che ogniqualvolta egli predicesse di qualcosa: «è così, sarà così», si realizzava quasi alla lettera. E ne abbiamo visto con i nostri occhi tanti esempi, di cui sarebbe lungo scrivere e narrare".



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