Fra Marco Moroni, Custode del Sacro Convento, continua la lettura meditata della Regola non bollata di s. Francesco, nell'VIII centenario della sua redazione -
"E ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio, in quelle cose in cui Dio gli darà grazia" (Rnb 9,11).
Nel nostro vagabondaggio lungo la Regola non bollata posiamo il nostro sguardo su questo significativo riferimento materno. San Francesco, fedelissimo lettore del Vangelo, sa che Gesù aveva raccomandato: «E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Mt 23,9); così nel momento della spogliazione, rivolgendosi al suo genitore terreno, gli aveva detto che d’allora in poi poteva dire con sicurezza: «Padre nostro che sei nei cieli…».
Allo stesso modo Francesco non attribuisce mai a se stesso la qualifica di padre, neppure verso i frati e l’Ordine (anche se noi frati – disobbedienti! – ci ostiniamo a chiamarlo “Nostro Padre Francesco”) e rivolgendosi in una lettera preziosissima e consolante a frate Leone gli dice: «Così dico a te, figlio mio, come madre, che tutte le parole che abbiamo detto lungo la via…».
Il rapporto di Francesco con sua madre Pica fu di profonda intesa, addirittura di complicità, tanto che fu lei a liberarlo dalla prigionia mentre il padre era assente, e probabilmente fu questo legame ad ispirare in lui i sentimenti e gli atteggiamenti della cura e dell’accoglienza, dell’attenzione rispettosa, della responsabilità affettuosa nei confronti dei suoi frati, delle altre persone e di ogni creatura. Francesco chiede che ogni frate ami e nutra il fratello, inoltre chiede che negli eremi due frati facciano da madri e due da figli, e i frati-madri custodiscano e proteggano i frati-figli. Amare e nutrire, custodire e proteggere sono azioni che garantiscono la vita e le donano sicurezza.
Riconosciamo questa accentuazione anche nel Cantico di Frate Sole, dove le creature vengono in genere chiamate fratelli e sorelle, mentre solo la Terra riceve l’appellativo di madre, perché «sustenta e governa», garantisce la vita e ha cura dei suoi figli. Ma potremmo continuare ancora a lungo nell’individuare i richiami alla maternità nei testi francescani. Al di là di ogni lettura psicologizzante che si potrebbe condurre su di essi, mi piace cogliere questo riferimento materno come molto prezioso per tutti noi, frati e non.
Mi sembra che l’atteggiamento materno verso gli altri e verso il mondo sia riconoscibile in quel modo di rapportarsi di cui ha parlato papa Francesco nel suo messaggio per la giornata della pace di quest’anno, in cui sollecita a crescere in una “cultura della cura”, facendo riferimento a tutti coloro che si prodigano in questo difficile tempo, anche a costo di grandi fatiche e sacrifici, per stare accanto a coloro che soffrono.
Accoglienza, compassione, consolazione, tenerezza… tutti elementi di una “cultura della cura” tipicamente femminili, anzi squisitamente materni. Non però in senso esclusivo: tutti possiamo viverli, maschi e femmine, laici e religiosi, coniugati e celibi, soprattutto perché sono tipici di quel Dio… che noi chiamiamo “Padre”.