Il Cantico delle creature di Francesco d'Assisi racchiude un prezioso insegnamento non solo sul valore che possiamo dare a nostra madre terra nella profondità di uno sguardo interiore, ma anche su come si giunge ad un cuore capace di riconoscere tale valore.
Molti sanno già che san Francesco scrisse la sua preghiera più conosciuta solo negli ultimi anni della sua vita. Ciò che però a molti sfugge è che in quel periodo era già molto provato nel corpo e nello spirito, tanto malato da essere ormai quasi cieco. Quella preghiera, dunque, descrive anzitutto la sua fede e la sua vita interiore, dipinge la creazione come Francesco la vedeva con gli occhi del cuore, più che con gli occhi del corpo ormai tanto debilitati.
Sul famoso, ricco e sempre misterioso testo di san Francesco riportiamo di seguito un approfondimento a cura di p. Felice Autieri ofmconv, studioso e docente di storia del francescanesimo:
"Il Cantico delle creature è probabilmente il primo testo poetico in volgare italiano giunto fino a noi. Si presenta come una 'lauda' in cui il santo eleva un commosso inno alla potenza di Dio, attraverso l'elenco degli elementi del creato che vengono invitati ad unirsi a lui in una preghiera comune. Il canto di lode è permeato da una visione positiva della natura, in cui si vede riflessa l’immagine del Creatore e sottolinea il senso di fratellanza fra l’uomo e il creato tale da diventare uno strumento di lode a Dio.
Il componimento risale agli ultimi anni di vita di S. Francesco (1224-1226) e secondo un'ipotesi sarebbe stato scritto in due momenti successivi, di cui il secondo nell'imminenza della morte. Infatti risalirebbero ad allora gli ultimi versi sulle malattie e la morte che sembrerebbero estranei al tema, rispetto alla serena contemplazione della prima parte.
L'intonazione del testo ricorda molto i cantici religiosi della tradizione biblica, la lingua è il volgare umbro con l'inserzione di molti latinismi, conformemente a molti testi poetici delle origini della letteratura italiana di cui può considerarsi un punto di partenza. Il testo più ricco e accurato nell’offrirci informazioni utili sulla storia del testo tra le biografie su S. Francesco, è la Compilatio Assisiensis.
È possibile individuare tre chiavi di lettura di cui la prima è costituita dal contesto immediato che ha dato vita alla prima parte della composizione, la seconda dalla dimensione esistenziale e la sensibilità di Francesco nei confronti della natura creata, infine la terza dalle due strofe finali relative al perdono e alla morte.
Nel primo punto al capitolo 83, la Compilatio si sofferma sulle ragioni che spinsero Francesco a comporre la prima parte del testo. Il testo agiografico ci dice che siamo nel 1225, la condizione sanitaria del santo è grave, in particolare era dolorosa la malattia agli occhi la cui infezione fu contratta nella sua permanenza in Terra Santa, tale da rendergli quasi impossibile sopportare la luce del sole. Il santo fu ricoverato in una capanna posta a ridosso del monastero di S. Damiano, in modo tale che Chiara e le sue sorelle potessero prendersi cura di lui durante la malattia. In quella capanna buia nella solitudine e perseguitato dai topi che non gli permettevano nemmeno di dormire, cadde in una forma di depressione e sconforto.
Il secondo punto è la presenza di Dio che risponde a questo stato di abbattimento psicologico, ricordandogli la grande ricchezza con cui lo circondava con il suo amore. Pur non potendolo vedere con gli occhi del corpo, Francesco reagisce al suo stato depressivo rivolgendosi alla grandezza e alla bellezza del mondo, così per miracolo la terra, le pietre, l’acqua si trasformano in grande ricchezza. La malattia invece di diventare buio totale, diviene per incanto scoperta rinnovata di quanto conosceva e aveva sperimentato, tutto si trasforma in lui in memoria e manifestazione di Colui che è per lui ogni bene e il sommo bene.
La terza serie di informazioni che la Compilatio ci offre, riguarda le ultime due strofe della composizione. La penultima nasce quando Francesco volle prendersi a cuore le tensioni che opponevano il podestà e il vescovo Guido II. Per essi compone la strofa del perdono (vv. 22-26), nella certezza che i due nemici si sarebbero riconciliati, come di fatto avvenne. L’ultima strofa è quella relativa a sorella morte (vv. 27-31) che fu aggiunta da Francesco a ridosso della propria dipartita, così da aiutare se stesso ad affrontare nel nome del Signore quel momento tanto difficile della sua esistenza.
Come possiamo comprendere, il "Cantico delle creature" da una parte fu la risposta di stupore alla bellezza del creato, nel quale traspariva inconfondibile il riflesso dell’onnipotenza e della bontà di Dio. Dall’altra volle essere un aiuto offerto da Francesco agli altri e a se stesso per poter vivere la vita nella lode, cioè da uomo cristiano che ha un Padre buono nel cielo a motivo del quale sa perdonare gli altri e accogliere la propria morte. Con molta probabilità la fortuna di questo testo nella dimensione umana e spirituale, deve essere ricercato nell’autenticità attraverso cui Francesco non nascose le sue fragilità fisiche e spirituali, ma ne seppe fare un autentico canto di lode a Dio".
fr. Felice Autieri